La valutazione che educa
Cristiano Corsini
professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre. Si occupa di valutazione in campo educativo e di indagini sull’efficacia e sull’equità di scuole e sistemi d’istruzioneI voti ci accompagnano per tutta la nostra carriera scolastica, che siano espressi in numeri o in giudizi. È convinzione diffusa che essi costituiscano un incentivo all’apprendimento e che studiare per ottenere un ‘ottimo’ o un ‘10’ consenta di sviluppare in maniera adeguata le conoscenze e le competenze fondamentali per affrontare la vita adulta. D’altra parte, si è sempre fatto così. Ma è una buona ragione per continuare a farlo? Siamo sicuri che un sistema scolastico che mette al centro i voti sia il più efficace? O è invece preferibile valutare diversamente?La fabbrica dei voti
Come ha insegnato Andrea Canevaro, abbiamo bisogno di una valutazione finalizzata allo sviluppo, non alla categorizzazione.
Passare da una valutazione che classifica a una valutazione che sviluppa significa impegnarsi in accertamenti finalizzati a riorganizzare le attività . Significa considerare la valutazione un mezzo di insegnamento e apprendimento, ovvero una strategia didattica.
Laddove la sola posta in palio dei processi valutativi non consiste in un premio o in una punizione ma in indicazioni utili per apprendere abbiamo buone probabilità di ridurre quella pressione competitiva tossica che rappresenta una minaccia non solo per il benessere di studentesse e studenti, ma anche per la validità e l’affidabilità dell’accertamento.
Laddove l’attività valutativa consiste nel mettere in mostra un certo livello di abilità e conoscenze per evitare conseguenze negative o per raggiungere qualche premio è più probabile che la conoscenza generata dal processo non sia valida né affidabile.
La valutazione che educa
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